"Sopravvissuti",
di Leonardo Moretti e Matteo Cortini. Asengard edizioni, brossurato 283 pagine - €14,50.
Il racconto narra la vicenda di un gruppo di sopravvissuti devastato e provato già in partenza, in costante lotta per la sopravvivenza, dove il collante del gruppo non è l'amicizia ma la bieca consapevolezza che ogni membro, per quanto odiato, sia indispensabile. Il superfluo sarebbe abbandonato a se stesso ed i legami sarebbero spezzati in qualunque momento e con estrema facilità dal mutare delle condizioni. Anche questo è necessario per sopravvivere. Pochi proiettili per le armi, meno ancora il cibo. Le medicine sono un lusso che in pochi si possono permettere e non ci si deve fare scrupoli a strapparle ai più deboli, già segnati come morti inconsapevoli. Sconfiggere ma non uccidere. Uccidere è sbagliato. Non si uccide per una ragione morale? No. Si uccide se non si ha alternativa perchè se si uccide qualcuno le conseguenze potrebbero essere disastrose. Non si uccide perchè i morti rimangono morti per poco, pochissimo tempo. Troppo poco per mettere loro molta distanza. Troppo poco perchè non annusino il vostro odore una volta tornati. Troppo poco perchè non inizino a braccarvi. Troppo poco perchè per loro voi siete la carne. Perchè la carne che non ha mai riposo bracca la carne di chi riposo non può averne a lungo.
Recensione:
Il racconto catapulta, fin dalle sue prime fasi, in un mondo desolato,
devastato ed abbandonato di case fatiscenti, rovine e macerie ad ogni
angolo.
Siamo negli anni successivi al secondo conflitto mondiale, dove la
guerra ha lasciato le sue ferite più profonde: è Il dopoguerra, come lo
raccontavano i vecchi del mio paese, gente povera che campava alla
giornata arrancando con ciò che produceva.
Durante la ritirata dei Tedeschi c’era chi cercava di barattare del cibo con
carri, attrezzi ed animali che sarebbero stati abbandonati dalle svastiche sul
loro cammino o, peggio ancora, distrutti per evitare di lasciarli in mano al
nemico.
I vecchi del paese natale di mio padre raccontavano che i “Crucchi”,
nomignolo dispregiativo che affonda le sue radici nel termine slavo
con cui i tedeschi chiedevano il pane, ovvero “kruh”, mandavano le
avanscoperte nei paesi sul loro cammino a dire alla gente di barricarsi in
casa e non tentare atti di nessun tipo, pena la fucilazione.
Ad ogni paese c’era sempre chi lasciava del pane o del vino su dei tavoli
all’esterno degli edifici, sperando in un regalo da parte dei soldati come
i carri\carretti vuoti delle provviste ormai finite, animali vecchi che non
sarebbero arrivati in Germania, pale, badili, bastoni e quant’altro a loro
non servisse più e di cui si volevano disfare.
Ma qui, nell’ambientazione di Sine Requie, quel dopoguerra non esiste.
La ricostruzione degli edifici e la vita rurale che riprendono a fatica non
esistono. V’è una brusca sterzata sulla linea temporale perchè durante lo
sbarco degli alleati in Normandia, il 6 del 6 del 1944, i morti cominciano a
rialzarsi.
Questo è Sine Requie.
La tecnologia si è fermata a quegli anni e qui le armi, la benzina, le
medicine ma soprattutto il cibo, che non può essere prodotto se non in
roccaforti protette, scarseggiano drasticamente.
È da qui che la storia parte, lineare e precisa; è il racconto di una porzione
di viaggio di 4 sopravvissuti verso una terra forse sicura, l’Inghilterra,
unico barlume di speranza e di salvezza che li poterà ad intraprendere un
viaggio attraverso le campagne di una Francia ferita dalla blitzkrieg (la
famosa “guerra lampo” tanto amata dai tedeschi).
Storia lineare e precisa, dicevo, per poter meglio affondare il coltello nelle
vicende dei protagonisti costantemente immersi nell’orrore dei morti in
cerca di carne viva, del poco riposo, delle ferite che potrebbero infettarsi…
e della sensazione che da un momento all’altro tutto questo potrebbe
stravolgersi facendo di fatto diventare un luogo sicuro in una tomba dove i
loro corpi si ridesterebbero in cerca di altri vivi, questa volta non più come
prede ma come predatori.
La lettura è fluida ed incalzante, suddivisibile in 4 grossi atti.
I personaggi sono costruiti solidamente con tutte le loro sfumature e non
mancano di evolversi, chi in meglio e chi in peggio.
Scene d’azione crude e personaggi secondari memorabili.
devastato ed abbandonato di case fatiscenti, rovine e macerie ad ogni
angolo.
Siamo negli anni successivi al secondo conflitto mondiale, dove la
guerra ha lasciato le sue ferite più profonde: è Il dopoguerra, come lo
raccontavano i vecchi del mio paese, gente povera che campava alla
giornata arrancando con ciò che produceva.
Durante la ritirata dei Tedeschi c’era chi cercava di barattare del cibo con
carri, attrezzi ed animali che sarebbero stati abbandonati dalle svastiche sul
loro cammino o, peggio ancora, distrutti per evitare di lasciarli in mano al
nemico.
I vecchi del paese natale di mio padre raccontavano che i “Crucchi”,
nomignolo dispregiativo che affonda le sue radici nel termine slavo
con cui i tedeschi chiedevano il pane, ovvero “kruh”, mandavano le
avanscoperte nei paesi sul loro cammino a dire alla gente di barricarsi in
casa e non tentare atti di nessun tipo, pena la fucilazione.
Ad ogni paese c’era sempre chi lasciava del pane o del vino su dei tavoli
all’esterno degli edifici, sperando in un regalo da parte dei soldati come
i carri\carretti vuoti delle provviste ormai finite, animali vecchi che non
sarebbero arrivati in Germania, pale, badili, bastoni e quant’altro a loro
non servisse più e di cui si volevano disfare.
Ma qui, nell’ambientazione di Sine Requie, quel dopoguerra non esiste.
La ricostruzione degli edifici e la vita rurale che riprendono a fatica non
esistono. V’è una brusca sterzata sulla linea temporale perchè durante lo
sbarco degli alleati in Normandia, il 6 del 6 del 1944, i morti cominciano a
rialzarsi.
Questo è Sine Requie.
La tecnologia si è fermata a quegli anni e qui le armi, la benzina, le
medicine ma soprattutto il cibo, che non può essere prodotto se non in
roccaforti protette, scarseggiano drasticamente.
È da qui che la storia parte, lineare e precisa; è il racconto di una porzione
di viaggio di 4 sopravvissuti verso una terra forse sicura, l’Inghilterra,
unico barlume di speranza e di salvezza che li poterà ad intraprendere un
viaggio attraverso le campagne di una Francia ferita dalla blitzkrieg (la
famosa “guerra lampo” tanto amata dai tedeschi).
Storia lineare e precisa, dicevo, per poter meglio affondare il coltello nelle
vicende dei protagonisti costantemente immersi nell’orrore dei morti in
cerca di carne viva, del poco riposo, delle ferite che potrebbero infettarsi…
e della sensazione che da un momento all’altro tutto questo potrebbe
stravolgersi facendo di fatto diventare un luogo sicuro in una tomba dove i
loro corpi si ridesterebbero in cerca di altri vivi, questa volta non più come
prede ma come predatori.
La lettura è fluida ed incalzante, suddivisibile in 4 grossi atti.
I personaggi sono costruiti solidamente con tutte le loro sfumature e non
mancano di evolversi, chi in meglio e chi in peggio.
Scene d’azione crude e personaggi secondari memorabili.
Boia Simo! Detto così sembra figo! Ahahahaah!
RispondiElimina-Curte-
Certo, certo.
RispondiEliminaOra spedisci la valigia all'indirizzo concordato e bada che sian tagli piccoli e niente scherzi o ti farò recapitare un orecchio del Leo.
hahahahaha :D
Per sicurezza aspetto l'orecchio
RispondiElimina-Curte-
Speriamo non lo perdano nei meandri delle poste italiane
RispondiEliminaNel caso ricordati che ce n'è un altro!
RispondiEliminaCurte
Di Leonardo o di orecchio?
RispondiEliminaGrazie al cielo... di orecchio!
RispondiEliminaPERDIO!
Curte
hahahahahahahahahahahaha. ....
RispondiElimina...hahahahahahahahahahahahhahahahahahahahaha.
hahahahahahahahahhahahahahahaha
hahahahahahahahahahaha
...E con questo tu hai perso un amico ed io perderò la virilità alla prossima fiera